Il Palazzo, entro la prima metà del Settecento, è al centro di una nuova campagna d'interventi al secondo piano nobile.
Potendo oggi, in base ai recenti ritrovamenti d'archivio, datare con certezza l'ingresso della famiglia Pallavicini al 1711, sembra di poter dire che il rinnovamento dell'apparato decorativo e iconografico della dimora coincida con questo nuovo passaggio di proprietà; in particolare Gavazza avanza una datazione per gli affreschi intorno al 1715.
Nel cantiere vengono chiamati artisti della scuola locale e pittori dell'area bolognese, secondo una consuetudine ormai affermatasi a Genova.
Nel primo ambiente a ponente dei tre salotti che affacciano su Strada Nuova, Giacomo Antonio Boni (Bologna 1688-Genova 1766) dipinse Giove e la capra Amaltea: nel medaglione centrale un Giove in forma di aquila sovrasta reggendo una corona la Capra Amaltea, mentre nei fantasiosi sfondati architettonici laterali siedono putti tra colorate ghirlande di fiori.
A seguire, il genovese Domenico Parodi (1670-1742) realizza Bacco che regge la corona di Arianna nella sala centrale, ponendo le figure principali sedute su una nuvola: intorno al riquadro centrale si alternano putti ubriachi, addormentati e in festa, e coppie di figure, su eleganti volute, che sorreggono vasi straripanti di tralci d'uva. Il tema bacchico della volta è significativamente ripreso nei medaglioni in grisaille inseriti nelle quadrature delle pareti. Nella sala successiva il quadraturista bolognese Tommaso Aldovrandini organizza prospetticamente lo spazio della volta e delle pareti in funzione dell'inserimento delle cinque famose tele con le Storie di Diana del Franceschini.
La decorazione architettonica dell'Aldovrandini, dominata da volute asimmetrie, fa da cornice ai simboli di Giove e Giunone realizzati in stucco: sul cornicione si alternano infatti maestosi pavoni e aquile, agli angoli festoni di quercia, gigli, e rami di mirto legati da nastri.
La sequenza di queste tre stanze rivela la propensione tipica del nuovo gusto settecentesco per una decorazione totalizzante, in cui la bidimensionalità della pittura si sposa felicemente con la tridimensionalità dello stucco.
Sul lato verso il giardino corrono parallele due gallerie di diversa lunghezza, anch'esse risultato della fase d'intervento settecentesca: questi due spazi, che si aprono sui viali, sono legati da un eccezionale rapporto visivo e iconografico con gli spazi naturali esterni, come ben chiarisce Magnani. Con gli stucchi e la finta architettura dipinta, nella galleria di ponente, Domenico Parodi propose una decorazione che anticipa e accompagna il sentiero pergolato che porta alla grotta, dove un Adone, scolpito dallo stesso Parodi, insegue cacciando un cinghiale impaurito.
Il centro della volta di questa galleria è occupato da una tela ovale inserita all'interno della decorazione murale, con putti che volano su un cielo azzurro. Sul lato opposto, nella galleria di levante, Boni dipinse uno sfondato aperto verso l'alto e una terrazza ornata con vasi di fiori posti su una balaustrata in forte scorcio.
Nel centro del soffitto il "carro di Venere è fermo in primo piano, volano le sue colombe, dorme la dea con cupido tra le braccia, un amore tiene in mano i simboli dei due, il pomo e l'arco, Giunone, Atena, Marte, Giove assistono dal cielo più alto; all'ingresso un puttino alato invita lo spettatore al silenzio, mentre altri, all'uscita verso il giardino recano corone di fiori" (Magnani c.d.s.).
Intorno allo spazio dipinto su uno spesso cornicione - di cui è stato rinvenuto da Gavazza un disegno di progetto di Paolo Gerolamo Piola - danzano numerosi putti, e quattro figure femminili in stucco, una per lato. Considerati gli attributi è possibile riconoscervi le personificazioni dei quattro parti del mondo allora conosciuto: America, Asia, Africa ed Europa. Sui lati lunghi trovano posto, due per parte, i simboli dei quattro elementi: Acqua, Aria, Terra e Fuoco.
G.A.Boni "Giove e la Capra Amaltea", volta.
M.Franceschini, "Le ninfe di Diana disarmano gli amori".