Lo scenografico ninfeo conclude l'asse di raccordo disegnato tra atrio, androne e cortile. Questa tipologia di 'fonte rustica' testimonia l'evoluzione del gusto locale, che nel corso del XVII secolo trasforma le tradizionali grotte artificiali cinquecentesche in aperti ninfei prospettanti sugli spazi naturali.


I palazzi cittadini, dalla metà circa del seicento, si aprono all'esterno, alla ricerca di un continuo scambio visivo e illusivo tra la natura del giardino e la decorazione degli ambienti interni. Questo ninfeo venne probabilmente realizzato dai Pallavicini subito dopo l'acquisto del Palazzo (1711), e si inserisce dunque tra le opere di aggiornamento decorativo della dimora, non a caso affrescata proprio ora nelle sale del secondo piano nobile.
L'aspetto monumentale della fonte - che sfrutta la caduta delle acque provenienti dalla cisterna della retrostante collina del Castelletto - si deve ad un progetto di Domenico Parodi, poi posto in opera dal Biggi. 

Lo studiato sviluppo in altezza di questo ninfeo risolve felicemente la continuità tra il Palazzo e la collina retrostante, offrendo alla vista quasi due ninfei connessi iconograficamente l'uno all'altro, il primo al piano del cortile e il secondo nel terrazzo sovrastante. 
Più in alto si estende un ampio giardino su due livelli, costruiti 'in costa' secondo il più tipico modulo locale. 
La volta del grande ninfeo è retta da due giganteschi tritoni, che incorniciavano una purtroppo perduta scena ispirata al mito di Fetonte. Già Alizeri nella sua Guida del 1875 scriveva che il gruppo di "Fetonte giù capovolto dal cielo e un genietto dall'alto a versar acque da un'urna", eseguito in stucco e collocato immediatamente sopra il grande arco, risultava a quell'epoca già disperso. 
Il giovane Fetonte, figlio del Sole, aveva ottenuto faticosamente la possibilità di guidare per un giorno il carro del padre ma, non sapendo reggerne i focosi cavalli, aveva incautamente bruciato il Cielo e la Terra, ed era stato per questo rovesciato da Zeus con un fulmine e precipitato in un fiume. 
Al museo di Palazzo Rosso è conservato il disegno (n. inv. 4667) di progetto per questo ninfeo. 

Nell'ambito degli interventi di restauro la fonte è stata accuratamente pulita, ritornando così oggi al suo antico splendore quale fulcro visivo che colpisce e ammalia i visitatori.
In Strada Nuova un secondo palazzo, quello un tempo di Pantaleo Spinola, ospita un altro scenografico ninfeo, a mosaico, nel quale trovava posto la statua raffigurante Il ratto di Elena, scolpita da Pierre Puget. Anche qui l'apertura del palazzo verso lo spazio naturale doveva contribuire ad esaltare la magnificenza della decorazione barocca degli spazi interni, prolungandone anche visivamente la percezione.


 

Particolare del Ninfeo dopo gli ultimi restauri

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